Semplicemente Grazie. Giornata contro la violenza sulle donne.

Novembre 25, 2024
di Aristodemo Pellegrino

Spesso la birra viene associata all’universo maschile e generalmente viene legata ad immagini virili e mascoline. Pantagruelici banchetti durante i quali la spumosa bevanda scorre a fiumi. Maestranze assetate che spengono la sete con una bottiglia di birra ghiacciata. Spalti e tribune rigurgitanti di ultras invasati, che urlano e cantano a petto nudo, tracannando birre. Aitanti omaccioni, che celebrano il terzo tempo, dopo una sana e maschia partita di rugby, e via discorrendo. Tanti, ovviamente, sono i facili pregiudizi alimentati da idee che poggiano su effimeri fondamenti.

Che la birra fosse destinata ad un pubblico maschile lo hanno insegnato tante celeberrime pubblicità degli anni passati. Come non ricordare, ad esempio, l’attrice e modella Solvi Stubling, passata alla storia come la Bionda Peroni degli anni Settanta.

Nelle pubblicità birrarie la donna però veniva raffigurata o con, neppure tanto vaghi, sottintesi di tipo sessuale oppure come casalinga mentre serve birra al marito. Nel tempo questo tipo di comunicazione, per fortuna, è cambiato, ma l’idea di fondo che tende ad etichettare come volgare una donna che beve birra spesso ancora resiste sottotraccia, insieme alla convinzione che la birra sia bevanda di bassa lega destinata a poco raffinate bevute.

La birra è una creazione delle donne

Sembrerebbe insomma che il rapporto tra donne e birra sia opposto e contrastante. Ma in realtà la birra è una creazione delle donne, lo insegna la storia. Nel corso dei secoli l’uomo ha cercato di reclamare a sé il predominio sulla spumosa bevanda, ma questa operazione si è rivelata alquanto ardua da portare a compimento.

La giornata contro la violenza sulle donne allora offre lo spunto per approcciarsi alla pinta con maggiore consapevolezza, ricordando che la birra rientra tra i doni che le donne hanno fatto al mondo e al genere umano.

Come piccolo ringraziamento al genio femminile un piccolo omaggio ad alcune donne della birra.

Dal passato…

Azag Bau

Tra le più antiche fonti scritte in cui si parla di birra, ci sono le Tavole del Monumento Blau, databili intorno al 3100 a.C. Si tratta di tavolette d’argilla, sulle quali in caratteri cuneiformi, sono registrate transazioni economiche, tra cui vendita di cerali e di birra. In questi documenti si cita l’ostessa Azag Bau. Di lei si narra sia stata la fondatrice della dinastia reale di Kish, antichissima città sumera che, secondo la tradizione, fu la prima ad avere un re dopo il Diluvio. Azag Bau, che preparava e vendeva nella sua cantina una birra di cereali, avrebbe scoperto la bevanda dimenticando dei pani d’orzo in una giara che accidentalmente si è riempita d’acqua. Una volta fatta tale scoperta l’ostessa avrebbe avviato la produzione arricchendosi a dismisura, sino a fondare la reale dinastia appunto.

tratto da https://www.worldhistory.org/image/4855/the-blau-monuments/

Sant’ Ildegarda di Bingen

Già dall’VIII sec. d.C. il luppolo era ben conosciuto e coltivato dai monaci per le sue virtù medicamentose, come pianta tintoria e per le sue resistenti fibre. Ma, come ampiamente certificato da molti documenti storici, la grande diffusione in Europa è dovuta al suo impiego nella produzione birraria.  Uno tra i più importanti di questi documenti è certamente il Libro delle Creature della religiosa, mistica, naturalista, filosofa, teologa, Santa Ildegarda von Bingen, badessa di Rupertsberg, consigliera dell’imperatore Federico Barbarossa, vissuta nel XII sec (1098-1179) e dichiarata dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI nel 2012. Tra i tanti meriti, la Sibilla Renana ha anche quello di aver diffuso la conoscenza della luppolatura nei circoli intellettuali europei, al di fuori dei monasteri. Ildegarda per prima fornisce una descrizione degli effetti conservanti e salubri del luppolo, già in parte accennati dalla scuola medica Salernitana a metà dell’XI sec. che nello specifico aveva evidenziato le positive proprietà diuretiche del luppolo, soprattutto se aggiunto alla birra chiara.

Katharina von Bora

Monaca cristiana tedesca convertitasi al protestantesimo e moglie di Martin Lutero. È una delle figure più importanti della Riforma per il contributo che ha dato all’elaborazione del modello di matrimonio del clero e di famiglia protestante.

In seguito alla lettura degli scritti di Lutero, per alcune monache l’orizzonte delle mura conventuali incomincia ad apparire ristretto. In una lettera segreta chiedono aiuto a Lutero che con la complicità di un uomo d’affari della città di Torgau, organizza un finto rapimento. La maggior parte delle monache fuggite vengono fatte sposare, solo Katharina von Bora è riservata e rifiuta vari uomini. Sarà Lutero stesso a prenderla in moglie nel 1525. Per molto tempo entrambi dovranno sopportare lo scherno e le maldicenze. I due vivono nel “Schwarzes Kloster” (il cosiddetto “Convento nero”, originariamente un seminario di monaci agostiniani) ed hanno sei figli. In casa Lutero c’è sempre molto movimento, studenti e ospiti vi trovavano sempre alloggio. Katharina si è occupata con molta cura della grande famiglia gestendo le finanze, la casa e l’orto. Tra le sue occupazioni domestiche principali c’era la produzione di birra, bevanda molto amata dal marito.

 Mother Louse 

Mother Louse proprietaria di Louse Hall, vissuta a Oxford nel primo Seicento, rappresenta la fine dell’era delle locande casalinghe gestite dalle donne. Tale usanza viene fatta risalire all’inizio del periodo medievale. Le donne si occupavano della gestione della casa e delle faccende domestiche. Fra gli innumerevoli compiti loro riservati vi era anche il produrre la birra, considerata alimento base indispensabile. La produzione in origine serviva a coprire le esigenze del nucleo familiare. Quanto prodotto in più veniva venduto per sostenere le finanze domestiche.  Con l’aumento della domanda nelle città medievali, le alewives diventarono una presenza comune nei mercati, dove vendevano la birra prodotta direttamente ai consumatori. Con la Rivoluzione Industriale e la modernizzazione della produzione si avvia un inesorabile declino per queste figure femminili, causato anche da dicerie e calunnie che dipingono queste donne come poco di buono, peccatrici e streghe. In realtà le alewives medievali hanno giocato un ruolo fondamentale nell’economia domestica e urbana del medioevo, unendo abilità artigianali e imprenditoriali e riuscendo ad affrontare ardue sfide sociali e culturali.

…Al presente

Doris Engelhard

Nell’abbazia francescana di Mallersdorf, in Baviera, produce Suor Doris una delle ultime monache mastre birraie d’Europa. L’abbazia è stata fondata dai Benedettini di Bamberg nel 1109, che hanno iniziato subito a produrre birra. Già nel 1432 fu loro permesso, grazie ad una bolla, di vendere la birra in botti. Dopo una lunga interruzione, la produzione viene ripresa nel 1881, ma solo con l’arrivo di suor Doris è diventata un’attività regolare. La religiosa, infatti, inizia il suo apprendistato nel 1966 nel birrificio del convento a soli diciassette anni, divenendone responsabile nel 1975. Le birre di Doris seguono la stagionalità e contano una maibock, un doppelbock, una zoigl scura e una lager color rame. Per via della produzione limitata, e delle regole monastiche, la birra si trova solo a livello regionale e non esce mai dalla Germania. I proventi della vendita sono destinati a sostenere le azioni del convento. Ovviamente non esistono siti internet, né numeri di telefono a cui rivolgersi. Le birre si possono degustare alla Klosterbräustüberl Mallersdorf, la Birreria del Convento di Mallersdorf, nei pressi del birrificio.

Ersilia D’Amico

Di birraie in Italia non ne abbiamo poi tante, ma sicuramente sono accomunate da passione e tenacia. Nell’antico cuore vulcanico della terra lucana Ersilia D’Amico insieme al marito Donatello Pietragalla, ha saputo creare un birrificio, Birrificio Del Vulture, che, oltre a rappresentare un punto di riferimento per il movimento regionale, si è costruito nel tempo una solida reputazione anche a livello nazionale. La crescita del birrificio è stata costante nei dieci anni di attività con una gamma di etichette variegata e di livello, anche con un riferimento particolare alla filiera regionale. Le referenze fanno emergere in maniera netta la personalità, le capacità tecniche, la creatività e la visione di Ersilia, che, da biologa, ha iniziato il suo percorso approcciandosi dapprima alla degustazione per giungere poi al mondo dell’homebrewing sino ad approdare con successo alla produzione. Una bella storia di passione.  Un brillante esempio di consapevolezza e convinzione.

Un brindisi alle donne. Cheers e Bon Voyage!

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