“GIANDUJOTTO TORINO IGP: IL SOGNO DIVENTA REALTA'”
Racconto di una emozione italiana, insieme ad un interprete di eccellenza: Guido Gobino
Un piccolo lingotto di cioccolato, avvolto in un elegante involucro dorato, capace di sciogliersi lentamente in bocca, inondando il palato di un sapore dolce e avvolgente, inconfondibilmente intenso e persistente con un leggero finale di amaro: il Giandujotto. Un simbolo di Torino, un’eccellenza italiana che ha varcato i confini nazionali, conquistando i palati di tutto il mondo.

Figura 1-immagine tratta dal sito aziendale “Guido Gobino”
Il Giandujotto, nato nel cuore del Risorgimento, si prepara a un nuovo capitolo della sua storia con l’atteso riconoscimento IGP. In questo viaggio alla scoperta della storia, dei segreti e delle evoluzioni del Giandujotto, avremo come guida d’eccezione Guido Gobino, maestro cioccolatiere che, con la sua passione e competenza, ci condurrà attraverso la tradizione torinese, svelandoci ogni aspetto del Giandujotto. Proprio l’ 11 marzo di questo anno, pur con qualche riserva, è stato approvato e riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste il disciplinare di produzione. Tappa fondamentale per arrivare al riconoscimento del marchio IGP sul prodotto.

Figura 2:Immagine tratta da Corriere Torino- articolo di Nicolò Fagone La Zita “Gianduiotto <Svizzero>? Guido Gobino: “Cara Lindt, quel cioccolatino non si può fare con il latte in polvere” – 5 Nov. 2023
Guido Gobino: Una guida d’eccezione L’opportunità di incontrare Guido Gobino si è presentata durante la terza edizione de “I Cioccolati del Mediterraneo”, un salone tematico organizzato dalla Compagnia del Cioccolato in collaborazione con Confcommercio Lecce, tenutosi a Maglie (LE) il 15 e 16 febbraio 2024, presso il Museo Archeo Industriale di Terra d’Otranto. Incontrare il “re dei cioccolatieri” torinesi, per un appassionato, è un’occasione imperdibile. Ho avuto il piacere di incontrarlo mentre salutava l’Arch. Antonio Monte, figura di casa nel Museo Archeo industriale di Terra d’Otranto suggestiva sede della kermesse. Inizialmente, non l’ho riconosciuto poiché era di spalle. Dopo aver salutato l’archeo-architetto, Guido Gobino si è voltato. “Lei è Guido Gobino?” ho chiesto. “Certo, ci conosciamo?” ha risposto incuriosito. “Non di persona“, ho replicato, estraendo dallo zaino una copia del libro “5 grammi di felicità” di Giuseppe Culicchia, edito da Slow Food nel 2020, che narra proprio una breve storia di Guido Gobino in occasione dei 25 anni del suo celebre “Tourinot”.

Figura 3 – Immagine tratta dal sito aziendale “Guido Gobino”
Questo libro, gentilmente inviatomi da mio fratello Daniele, medico a Milano e grande estimatore dei cioccolati Gobino, ha alimentato la mia curiosità e mi ha spinto a cercare un incontro con il noto cioccolatiere. Nonostante la lettura serrata in soli due giorni, ho avuto modo di scoprire una figura di straordinaria profondità: un uomo di visione, animato da una costante ricerca di nuove sfide e opportunità, capace di armonizzare tradizione e innovazione, qualità e sostenibilità. La sua filosofia originale e coerente, che traspare dalle pagine, rivela un’energia inesauribile e una dedizione assoluta all’eccellenza in ogni aspetto della sua vita. La reception del salone mi aveva consigliato di approcciarlo prima della pausa pranzo, ma, intento a familiarizzare con l’atmosfera e a riflettere sull’impostazione dell’intervista, l’ho incontrato per caso. Guido Gobino ha manifestato sorpresa nel vedere il libro a lui dedicato e, dopo averlo autografato con una dedica personale, abbiamo stabilito un’intervista di cinque domande, in onore dei grammi del suo celebre Tourinot. In realtà, la conversazione si è poi estesa ben oltre le aspettative. Senza indugio, iniziai a chiedere:

Cosa distingue e caratterizza la vostra azienda nel panorama della cioccolateria italiana?
La nostra azienda è una realtà familiare giunta alla terza generazione: mio padre Beppe, poi io, ed ora anche mio figlio Pietro. La passione e la cultura del cioccolato sono parte integrante della nostra storia da oltre sessant’anni. Questa passione si riflette nella nostra produzione e sul carattere artigianale di un’azienda che ha sempre avuto un occhio attento all’innovazione, alla qualità e alla creatività. È proprio la fantasia a guidarci e a consentirci di creare un cioccolato sempre innovativo e interessante.
Cosa rappresenta la tradizione per Guido Gobino e come si lega al suo concetto di innovazione? Sono forze in conflitto o elementi complementari?
La mia azienda ha sede a Torino, città con una tradizione cioccolatiera di oltre 300 anni. Per innovare, è fondamentale conoscere e padroneggiare questa tradizione, il che significa comprendere appieno i momenti giusti per trasformare una materia prima e renderla sempre piacevole e interessante. Per noi, il cuore della tradizione è il cioccolato gianduja, che abbiamo reinterpretato nel tempo in numerose ricette. Questo ci permette di stupire, portando avanti i valori del cioccolato di Torino valorizzando la nocciola del Piemonte e il cacao, insieme a tutti gli altri ingredienti che possono arricchire un cioccolato e renderlo piacevole ed unico.
La sostenibilità è diventata un tema centrale per molte aziende. In che modo Gobino interpreta questo concetto e come lo applica alla sua produzione di cioccolato?
Per noi Gobino, e uso non a caso il “noi”, perché un grande impulso all’attenzione verso la sostenibilità ambientale è arrivato con l’ingresso in azienda di mio figlio Pietro nel 2021. Da allora, ancor più la sostenibilità è considerata non solo un valore aggiunto, ma un parametro fondamentale che concorre a definire la qualità dei nostri prodotti. Il nostro approccio è integrato e tocca molteplici aspetti, dalla selezione delle materie prime alla gestione delle risorse, dalla scelta dei materiali di confezionamento al valore delle persone.

Innanzitutto, controlliamo l’intera filiera produttiva, partendo dalle fave di cacao, per garantire non solo la qualità del prodotto finale, ma anche le condizioni di vita di chi lavora lungo la catena. Siamo convinti che la qualità non si limiti al gusto, ma includa anche l’impatto sociale e ambientale. Un esempio lampante è la scriteriata intensificazione della coltivazione di nocciole in Piemonte. Questo, unito ai cambiamenti climatici e al maltempo, con alternanza di siccità e piogge persistenti, ha creato squilibri ambientali e sacrificato la biodiversità, elementi fondamentali per mantenere una produzione di qualità. Il risultato è che, nonostante l’aumento delle piante, si riscontra una drastica riduzione della produzione di oltre il 60%. Questo ci fa comprendere quanto sia fondamentale tutelare l’ambiente.

Figura 6- nocciole Piemonte IGP

Figura 7-immagine tratta da Wine News -art. “Il maltempo colpisce la produzione di nocciole made in Italy”del 13.09.2024
In secondo luogo, siamo consapevoli della limitatezza delle risorse del pianeta e ci impegniamo a gestirle in modo responsabile. Investiamo costantemente in tecnologie che ci permettano di monitorare e ridurre i nostri consumi energetici, privilegiando l’autoproduzione di energia termica ed elettrica.
Per quanto riguarda il packaging, la nostra priorità è proteggere il prodotto e preservarne la qualità, ma al contempo ci orientiamo verso materiali alternativi alla plastica, provenienti da filiere sostenibili, riciclati o 100% riciclabili, riducendo al minimo l’impatto ambientale.
Infine, crediamo nel valore delle persone e promuoviamo un ambiente di lavoro inclusivo, diversificato e orientato alle pari opportunità. Riconosciamo l’importanza del lavoro di ogni singolo dipendente e investiamo nella loro crescita professionale, favorendo il dialogo tra le diverse generazioni.
La sostenibilità per noi è un impegno a 360 gradi, che si riflette in ogni aspetto della nostra attività e che ci guida verso un futuro più responsabile e consapevole.

Figura 8- Bottega Gobino a Torino
La storia del giandujotto è un tema dibattuto, con diverse versioni sulla sua origine. Qual è la sua opinione in merito? Ritiene che l’introduzione della pasta di nocciole sia da attribuire a Caffarel & Prochet, o pensa che fosse una pratica già esistente?”
La storia del giandujotto è effettivamente molto dibattuta, con diverse teorie sulla sua nascita. Tuttavia, è importante sottolineare che il gianduiotto nasce da una combinazione di fattori, tra cui la difficoltà e l’alto costo di approvvigionamento del cacao, un po’ come oggi…. In questo contesto, alcuni produttori piemontesi di cioccolato ebbero l’intuizione di utilizzare le nocciole del Piemonte per arricchire le loro ricette, un prodotto locale che garantiva ampia disponibilità a costi più accessibili. Nonostante non vi siano prove definitive sull’effettivo inventore della pasta di nocciole, è indubbio che Caffarel abbia avuto un ruolo fondamentale nella sua diffusione, soprattutto grazie all’introduzione del particolare formato del giandujotto, che ha contribuito a renderlo un simbolo del cioccolato torinese nel mondo.
Com’è nato il giandujotto: Un’invenzione nata dalla necessità
Circa le origini del giandujotto, l’ipotesi più diffusa, non necessariamente la più attestata, è strettamente legata al Blocco Continentale imposto da Napoleone nel 1806, che bloccò l’importazione di cacao dalle colonie britanniche. Torino, già rinomata per la produzione di cioccolato, si trovò di fronte a una sfida: come soddisfare la rilevante domanda di cioccolato in carenza della materia prima principale? La risposta arrivò dalle colline delle Langhe, con la Nocciola Tonda Gentile, un ingrediente locale che si rivelò un’alternativa perfetta al cacao. I maestri cioccolatieri torinesi, spinti dalla necessità, iniziarono a sperimentare, creando una miscela di cacao e nocciole che diede vita alla pasta di gianduja.

Figura 9 – Immagine tratta dal sito aziendale “Guido Gobino”
Michele Prochet e Paul Caffarel fondarono la Caffarel Prochet & C. e come molti altri pasticceri e chocolatier piemontesi dell’epoca, a causa dell’aumento del costo del cacao, sostituirono parte dell’impasto con le nocciole delle Langhe, abbondanti nel territorio. È corretto?
Certamente. Inoltre, perfezionarono l’impasto macinando e tostando finemente le nocciole, creando così il “givù” (termine del dialetto piemontese che significa letteralmente “mozzicone” di sigaro o sigaretta, ma che in questo contesto si può interpretare come “bocconcino”), l’antenato del giandujotto. Questo prevedeva solo tre ingredienti: nocciole, zucchero e cacao.
Dal “givù” al “giandujotto” Il cioccolatino continuò a chiamarsi “givù” sino al Carnevale del 1866, un periodo cruciale per Torino, che si stava reinventando come capitale industriale dopo il momentaneo trasferimento della capitale d’Italia a Firenze. In quell’occasione, un attore mascherato da Gianduja, simbolo del popolo piemontese e della rinascita della città, distribuì i cioccolatini alla folla festante. Questo gesto, che richiamava la tradizione carnevalesca e l’orgoglio torinese, segnò il battesimo ufficiale del giandujotto, autorizzando il pubblico a chiamare il nuovo cioccolatino con il nome della maschera. Fu in questa occasione che il giandujotto venne presentato per la prima volta rivestito in carta d’alluminio dorata.

Fig. 10 – L’immagine ritrae l’opera di Felice Cerruti Bauduc (1818-1896), intitolata “Episodio del Carnevale di Torino” (26 febbraio 1865), è una litografia stampata dai Fratelli Doyen nel 1865. Essa raffigura Gianduja, simbolo della città, con il tricolore in mano. Nonostante appaia in abiti dimessi, è pronto a donare anche quelli al suo re e all’ideale unitario. Durante il Risorgimento, Gianduja, da divertente marionetta di legno impiegata nei teatrini di piazza, fu elevato a simbolo del patriottismo. Nel 1807, il personaggio di Gianduja portava una coccarda tricolore ben visibile sul suo tricorno, un chiaro richiamo ai colori della bandiera italiana. Gianduja divenne una sorta di maschera tradizionale legata al Piemonte, un patriota che incitava costantemente gli italiani a unirsi sotto la stessa patria e bandiera. Con il Carnevale del 1865 e il lancio dei “giandujotti”, Gianduja divenne una maschera poliedrica, incarnando sia lo spirito festoso del Carnevale, sia il ruolo di testimonial dei prodotti italiani, in particolare piemontesi. L’intuizione di Caffarel di impiegarlo come promotore dei suoi gianduiotti anticipa le moderne strategie di marketing, dimostrando una visione lungimirante.
Dopo aver ricordato il ‘givu’, vorrei chiederle del ‘tourinot’, che celebra trent’anni di ‘5 grammi di felicità’. Potrebbe descriverci come è nata l’idea di questa ‘quintessenza del Giandujotto di Torino’?
Fin dal 1985, il nostro obiettivo primario è stato specializzarci nella produzione del giandujotto, con l’ambiziosa aspirazione di creare il migliore di Torino. Successivamente, nel 1995, abbiamo introdotto il ‘Tourinot’, un’innovativa reinterpretazione del giandujotto tradizionale. Pur preservandone l’essenza autentica, il ‘Tourinot’ è stato ideato per soddisfare i gusti e le esigenze del consumatore moderno.
Con il ‘Tourinot’, l’intento era di creare un formato pratico, che potesse essere gustato in un solo boccone. Il gianduiotto da 10 grammi, infatti, non si presta a questa modalità di consumo e, inoltre, richiede maggiore attenzione per evitare di sporcarsi. Le dimensioni ridotte del ‘Tourinot’ ne garantiscono una migliore fruibilità.
L’introduzione della tecnologia dell’estrusione ha permesso di replicare meccanicamente la gestualità artigianale delle “giandujere” all’origine del giandujotto, superando un limite precedente: la difficoltà di produrre cioccolatini di dimensioni ridotte in modo uniforme.
Questo ha consentito non solo un controllo più preciso dei parametri di produzione, ma ha anche preservato l’elevata percentuale di nocciola piemontese, elemento fondamentale per un gusto e una consistenza inconfondibili.
Parallelamente agli investimenti tecnologici, è stata avviata una strategia di rinnovamento del design. Un nuovo nome, un logo distintivo, una palette di colori accattivante e confezioni innovative hanno contribuito a dare al ‘Tourinot’ un’identità moderna e riconoscibile.

Figura 11-Tourinot , immagine tratta dal sito aziendale
‘ancien enfant prodige’ L’ideazione del ‘Tourinot’ ha consacrato Guido Gobino come un capace uomo di visione, che ha saputo coniugare innovazione e rispetto per la tradizione. Definito ‘enfant prodige’ della pasticceria piemontese, Gobino ha saputo anticipare i gusti moderni senza alterare l’essenza dei classici. Il ‘Tourinot’, con il suo formato pratico e la ricetta di qualità, incarna perfettamente la sua visione. Un percorso di eccellenza, protrattosi nel tempo, lo rende tuttora meritevole dell’appellativo di ‘ancien enfant prodige’

Tre ingredienti, tradizione autentica
Potrebbe descriverci l’evoluzione della ricetta del giandujotto?
Come è noto, il giandujotto, già dal 1865, quando era conosciuto come “givù”, nasceva con tre ingredienti originali: cacao, nocciole piemontesi e zucchero. Nei primi anni del Novecento, con l’avvento del latte in polvere e la successiva industrializzazione del prodotto, quest’ultimo venne introdotto nella ricetta. Il latte in polvere, infatti, fungeva da coadiuvante tecnologico, aiutando ad asciugare l’impasto ricco di grassi e facilitando la realizzazione del caratteristico formato irregolare del giandujotto, che si dice ricordi il cappello tricorno di Gianduja.
Negli anni Settanta, l’uso del latte fu fortemente promosso attraverso lo slogan “Più latte meno cacao”. Questo messaggio non si limitava a pubblicizzare la nota barretta Kinder della Ferrero, ma rifletteva una tendenza culturale e sociale che esaltava le qualità positive del latte, associandolo a concetti come maternità, salute, naturalità e purezza. Al contrario, il cacao veniva dipinto con connotazioni negative, legate a colesterolo, carie e tossicità.
Fortunatamente, le credenze popolari che demonizzavano il cioccolato sono state superate. Grazie alla riabilitazione del cioccolato fondente, si è tornati a valorizzare la ricetta originale del giandujotto, che esalta l’armonia tra cacao, zucchero e nocciole piemontesi di alta qualità.
Il cacao, non più visto come un ingrediente “pericoloso”, ma come un elemento ricco e complesso, capace di conferire al gianduiotto il suo caratteristico sapore intenso e aromatico. Le nocciole, simbolo del territorio piemontese, apportano al giandujotto una nota di dolcezza e croccantezza, creando un equilibrio perfetto con l’amarezza del cacao. Lo zucchero, elemento essenziale per legare i sapori e conferire al gianduiotto la sua consistenza vellutata.

Giandujotto di Torino: dalla storia all’IGP “al quadrato”, un’eccellenza tutelata
Ritiene che l’eccellenza del gianduiotto, patrimonio gastronomico italiano, debba essere tutelata con il marchio IGP?
La ricetta storica del gianduiotto prevedeva l’utilizzo di soli tre ingredienti: cacao, nocciole piemontesi e zucchero. Recentemente, nel 2017, è stato costituito un Consorzio a Torino per ottenere il riconoscimento IGP del gianduiotto, approvato dal Ministero a Roma. L’11 marzo si terrà un’audizione pubblica, dopodiché la domanda sarà inviata in Europa per la conferma e la protezione del marchio.
Questo prodotto storico merita di essere tutelato. Sarebbe l’unico prodotto italiano a contenere un’altra IGP, la Nocciola Piemonte IGP. Il disciplinare proposto è molto rigoroso, prevedendo un giandujotto da 5 o 10 grammi, con soli nocciola Piemonte IGP, zucchero di canna o di barbabietola, vaniglia e un incarto specifico. Questa rigidità è fondamentale per evitare le “divagazioni all’italiana” e garantire l’autenticità del prodotto.
Il Giandujotto di Torino IGP: Un Percorso tra Tradizione, Tutela e Compromesso Dopo anni di confronti, il Giandujotto di Torino è a un passo dal riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), un traguardo che segna la vittoria della tradizione artigianale. Il percorso, iniziato nel 2017 dal Comitato Giandujotto di Torino IGP, ha visto l’approvazione della Regione Piemonte e la redazione di un disciplinare di produzione da parte del Ministero dell’Agricoltura, approvato l’11 marzo 2025. L’obiettivo è tutelare la ricetta originale, nata nel 1865 dalla necessità di sostituire il cacao con le nocciole piemontesi durante il blocco napoleonico, che prevede l’uso di Nocciola Piemonte IGP (30-45%), cacao e zucchero, escludendo il latte in polvere. Questo progetto, che ha coinvolto università, aziende e cioccolatieri, mira a preservare l’eccellenza del giandujotto, un prodotto che, come sottolinea Gobino, “è l’unico prodotto che contiene un’altra IGP che è la nocciola del Piemonte”.
La “Guerra del Giandujotto” e gli intenti di compromesso con Lindt La “guerra del Giandujotto”, che ha visto contrapporsi il Comitato e Lindt (proprietaria di Caffarel), sembrava concludersi con un intento di accordo . Lindt rinuncerebbe a opporsi all’IGP, a condizione che venga riconosciuto il suo diritto di continuare a usare il marchio Caffarel e che il disciplinare includa una clausola di riconoscimento dei diritti di Caffarel. Lindt chiede di continuare a produrre il suo “autentico giandujotto di Torino 1865” secondo la ricetta Caffarel, senza aderire al disciplinare IGP. Se ciò avvenisse, forse non sarà “la vittoria di Davide contro Golia” come ha dichiarato Guido Gobino ma certamente è un accettabile compromesso. La disputa, nata dalle obiezioni di Lindt sulla ricetta proposta dal Comitato (nocciole, cacao, zucchero), che proponeva l’aggiunta di latte in polvere e la riduzione della percentuale di nocciole, ha visto Caffarel, parte del gruppo Lindt dal 1998, adoperarsi attivamente per facilitare un accordo, sostenendo l’importanza dell’iniziativa del Comitato e ribadendo la sua volontà di tutelare il Giandujotto come eccellenza del Made in Italy.

Ingredienti e Disciplinare IGP: Le Scelte del Comitato Tra gli interrogativi emersi durante la disputa, uno dei più rilevanti riguardava il perché il disciplinare IGP ammettesse la lecitina (di girasole o soia) ma escludesse il latte in polvere, entrambi assenti dalla ricetta originale. Guido Castagna, presidente del Comitato, ha chiarito che l’inserimento di lecitina, vaniglia e sale è il risultato di test universitari e della necessità di conciliare le diverse ricette dei membri del Comitato, garantendo al contempo la tutela del prodotto. Lecitina, sale e vaniglia sono ammessi per ragioni tecnologiche, come emulsionanti o esaltatori di sapore, e in quantità minime (massimo 0,04% per la lecitina). Lindt, invece, proponeva il 10% di latte in polvere, una quantità che avrebbe alterato significativamente il gusto del giandujotto. Pertanto, la lecitina è ammessa per la sua funzione tecnologica e la sua minima incidenza sul sapore, mentre il latte in polvere è escluso per il suo impatto sostanziale sulla ricetta tradizionale.
Giandujotto di Torino IGP: Disciplinare Approvato, ma Lindt si oppone per tutelare il marchio Caffarel L’11 marzo 2025 ha segnato un passo cruciale per il Giandujotto di Torino, con l’approvazione del disciplinare IGP che definisce le caratteristiche del vero cioccolatino torinese. Tuttavia, la strada verso il riconoscimento completo è ancora in salita, con l’opposizione di Lindt (Caffarel) che mira a tutelare il proprio marchio storico. Il disciplinare, dettagliato in otto articoli, descrive le caratteristiche organolettiche e gli ingredienti del Giandujotto IGP: nocciole Piemonte IGP (30-45%), cacao, zucchero, con possibili aggiunte di lecitina, vaniglia e sale. L’esclusione del latte in polvere è un punto chiave. Il Giandujotto IGP dovrà avere una forma a prisma triangolare con spigoli arrotondati, di colore uniforme marrone, marrone/rossiccio, lucido od opaco. Dall’odore intenso, dal sapore dolce intenso con leggero finale amaro, dall’aroma intenso e persistente con sensazioni di nocciola tostata, cacao, cioccolato e vaniglia. In bocca morbido, solubile e adesivo. Con astringenza molto scarsa. Sono stati definiti anche i dettagli sull’incarto e sui loghi caratteristici da utilizzare, sulle modalità di confezionamento e raffreddamento. Dopo l’approvazione del disciplinare, il testo sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, seguito da un periodo di 30 giorni per presentare opposizioni. Infine, l’approvazione finale spetterà a Bruxelles, con tempi stimati tra i sei e i dodici mesi. Guido Castagna, presidente del comitato Giandujotto Torino IGP, auspica il raggiungimento del traguardo nel 2026. Lindt (Caffarel) ha dichiarato la propria riserva di opposizione, invocando l’articolo 31 del Codice della Proprietà Industriale per tutelare il marchio storico “Gianduja 1865. L’autentico Giandujotto di Torino”. L’azienda precisa che l’opposizione è concordata con le istituzioni e i richiedenti l’IGP, e non mira a ostacolare il riconoscimento, ma a garantire la coesistenza dei marchi. Lindt, che ha acquisito il marchio Caffarel nel 1997, sottolinea che il marchio “Gianduja 1865. L’autentico Giandujotto di Torino” è stato registrato nel 1972 e regolarmente rinnovato. Nonostante l’opposizione, l’umore generale è di ottimismo, grazie ai toni distensivi di Lindt. La partecipazione di figure di spicco come Alberto Cirio, Paolo Chiavarino e Andrea Illy sottolinea l’importanza del riconoscimento IGP per il territorio.

Figura 15 – Logo Giandujotto Torino IGP
Un cioccolatino con i baffi Il Giandujotto di Torino IGP sarà identificabile grazie a un segno distintivo, un simbolo di eccellenza: il logo del Consorzio, raffigurante una sorta di “baffo”, che verrà stampato sull’incarto. Questo simbolo evoca sia la forma caratteristica a barca rovesciata del cioccolatino, sia il profilo rappresentativo della Mole Antonelliana. Sebbene il traguardo del riconoscimento ufficiale non sia ancora stato raggiunto, l’approvazione finale è prevista entro un anno. Il via libera al disciplinare IGP rappresenta un momento cruciale: un’assemblea di produttori, con la partecipazione di rappresentanti del Ministero dell’Agricoltura, della Regione Piemonte, del Comune di Torino e della Camera di Commercio, ha dato il via libera al disciplinare IGP. Questo documento, che definisce rigorosamente gli standard di produzione, dovrà essere rispettato da tutti i produttori che desiderano ottenere la certificazione europea e il logo distintivo. Naturalmente, chi vorrà continuare a produrre giandujotti con ingredienti diversi, come latte in polvere, pistacchio, cioccolato Ruby o tutti quei tipi di cioccolato che vengono aromatizzati con frutta, spezie, caffè, o altri aromi naturali o artificiali, potrà farlo, ma non potranno avvalersi del marchio IGP. Il giandujotto, infine, potrà essere prodotto attraverso quattro metodologie: taglio manuale, stampaggio, estrusione o estrusione con taglio. Il riconoscimento IGP del Giandujotto di Torino rappresenta un passo significativo per la tutela di questa eccellenza del patrimonio gastronomico italiano.
Giandujotto di Torino IGP: Un Sogno che diventa Patrimonio Italiano Il percorso del giandujotto verso il riconoscimento IGP è un esempio emblematico delle sfide e delle opportunità che accompagnano la tutela dei prodotti tradizionali italiani. Si prevede che il marchio IGP possa essere apposto sui giandujotti entro i primi mesi del 2026. La passione e la competenza di figure come Guido Gobino, unite all’impegno del Comitato e delle istituzioni, stanno rendendo possibile un traguardo storico. L’imminente approvazione dell’IGP a Bruxelles segnerà un nuovo capitolo per questo simbolo dell’eccellenza italiana, un sogno che si avvera, un’emozione condivisa. Non perdete l’occasione di assaporare l’autentico Giandujotto di Torino IGP! Visitate la bottega Gobino più vicina o cercatelo nei migliori negozi specializzati. Il cammino verso l’IGP del Giandujotto di Torino è avviato, con la speranza che la coesistenza tra tradizione e marchi storici possa rafforzare l’eccellenza del cioccolato torinese e italiano.